Il Pensatoio una sera di Maggio.

Visto in tivvu il meteo di domani, con massima a trentaquattro gradi, mi sono seduto sulla mia seggiola dell’ormai noto, alle amiche e amici, pensatoio serale.


La lieve brezza serale non manca. Il profumo del prato appena rasato pure, e il silenzio. In cielo, ad ovest, una piccola “palla” di sole sbuca al di sotto di una striscia di nuvole brune, ma senza velleità temporalesche, che tramontano con lui, quasi  come una coperta che lo accompagnano a riposare.


Una scia bianca, lasciata da un aereo, mi ricorda il filo dell’aquilone che imitando i ragazzi più esperti, costruivo e cercavo di far volare.


Due listarelle di leggero legno di balsa e un foglio di carta colorata, quella che un tempo si utilizzava per creare fiori e addobbi nelle processioni. Un filo sottile di spago annodato davanti ed io pronto a correre sul prato per cercare di fargli prendere quota.


E quest’ultima era l’operazione più difficile


In primo era essenziale “fiutare” il vento che l’avrebbe aiutato a decollare e mantenere in alto, poi manovrare la fune per le eventuali, se tutto fosse andato per il verso giusto, successive evoluzioni aeree.


Ero imbranato, lo riconosco.


Riuscivo a malapena, adocchiando gli altri ragazzi, a farlo alzare da terra, poi nonostante cercassi di seguire con la coda dell’occhio le loro manovre, mi era difficile mantenerlo a livello degli altri.


L’aquilone lentamente si abbassava e atterrava ed era altrettanto difficile fare in modo che l’atterraggio fosse “morbido” per non compromettere l’esile intelaiatura.


Ostinatamente riprovavo, e altrettanto ostinatamente l’aquilone ripeteva l’orbita precedente: la corsa, il gioco che sembrava decollasse e la planata per ritrovarlo nel prato.


Tutta un’intera estate ho provato e riprovato, cercando anche di modificare l’assetto delle due asticelle di balsa. Gli altri ragazzi erano prodighi di consigli, ma i risultati erano sempre demoralizzanti.


Una delle ultime sere d’inizio estate, tornai su quel prato, controllai la brezza e iniziai la corsa trainando l’aquilone.


Inaspettatamente dopo tante prove inconcludenti, l’aquilone si alzò e iniziò il suo volteggio sempre accompagnato dal filo di vento. Lo feci volteggiare e mi seguiva come un cagnolino segue il suo padrone.


Ero trionfante e gli amici che avevano sopportato le mie disavventure, finalmente si congratularono con la frase: «Vedi, chi la dura, la vince!».


Poi iniziarono le vacanze e nel prato, con l’aquilone che non voleva volare, rimasi solo io.


Terminò l’estate, iniziarono la suola, gli aquiloni furono riposti nei solai o nelle cantine, e il mio lo appesi in una stanza adibita a legnaia con il proposito di studiare meglio la forma e il materiale con cui l’avevo costruito per la rivalsa dell’estate successiva.


Quando molti anni dopo traslocai, quell’aquilone era ancora appeso, impolverato, in attesa che mantenessi il mio proposito.


Lo guardai e lo salutai, erano altri i “voli” che mi attendevano.


20 maggio 2022

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